Patologie del ginocchio

Il legamento crociato anteriore

Il legamento crociato anteriore (LCA) è un robusto legamento posto al centro dell'articolazione del ginocchio che ha il compito di controllare lo spostamento anteriore della tibia rispetto al femore e, assieme ad altri legamenti, contribuisce a stabilizzare l'articolazione nelle sollecitazioni rotatorie. Ed è principalmente questo secondo effetto che risulta dal punto di vista clinico e funzionale il più importante. Infatti è proprio la perdita del controllo dei movimenti di rotazione che causa l'instabilità caratteristica della rottura del LCA, che si manifesta tipicamente nei bruschi cambi di direzione e negli arresti della corsa e nelle ricaduta da salto in appoggio monopodalico o squilibrato, movimenti questi caratteristici, anche se non esclusivi, delle attività sportive. Purtroppo la scarsa vascolarizzazione del LCA impedisce una valida cicatrizzazione del tessuto legamentoso per cui la perdita di stabilità derivante dalla rottura completa del legamento rappresenta un' eventualità destinata a permanere nel tempo e che può essere corretta solo con un intervento chirurgico.

La diagnosi di rottura del LCA è fondamentalmente clinica e si basa sulla descrizione che il paziente fa del trauma iniziale e sull'esecuzione di alcuni test specifici da parte del medico specialista. Il paziente di solito riferisce una distorsione del ginocchio con sensazione di cedimento, spostamento, strappo all'interno dell'articolazione. Normalmente il paziente non è in grado di proseguire nell'impegno sportivo cui era intento. La tumefazione articolare è molto frequente e se si esegue una puntura evacuativa, essa dà esito normalmente ad un liquido ematico (rosa o francamente rosso). La visita accerterà poi la presenza di una mobilità innaturale del ginocchio legata appunto alla perdita di funzione del LCA. A questo punto la diagnosi è praticamente certa e gli ulteriori accertamenti (radiografie, risonanza magnetica) serviranno più per escludere altre patologie che per confermare la lesione del LCA.

Prima di affrontare il delicato tema del trattamento delle lesioni del LCA è bene ricordare che non tutte le lesioni del LCA causano lo stesso grado di instabilità articolare e quindi lo stesso grado di disfunzione. Accanto a casi in cui l'instabilità residua si può manifestare anche in banali movimenti della vita di tutti i giorni, vi sono casi in cui essa si manifesta solo nelle sollecitazioni rotatorie estreme ed altri in cui il ginocchio può mantenersi stabile anche nello sport. Per questo è essenziale che il medico non si limiti a diagnosticare la lesione del LCA ma anche valuti correttamente il grado dell'instabilità articolare per poter scegliere al meglio il trattamento più adatto per quel paziente, se cioè sia sufficiente un trattamento conservativo (fisiocinesiterapia) o chirurgico. Il trattamento conservativo è indicato in casi di modesta instabilità ed in pazienti non dediti ad attività sportive a rischio mentre in caso di instabilità gravi ed in pazienti sportivi è senz'altro consigliabile un intervento chirurgico. L'intervento chirurgico di ricostruzione del LCA, nei casi in cui sia necessario, dovrebbe essere eseguito il più presto possibile, entro pochi giorni dal trauma iniziale, in modo da ridurre il periodo di invalidità complessivo per il paziente e per ovviare alle problematiche che un periodo iniziale di immobilizzazione possono causare al recupero funzionale post operatorio. Purtroppo non esiste oggi, nel nostro paese, una cultura in tal senso, per cui molto spesso, a seguito di un trauma distorsivo anche importante del ginocchio viene prescritta un'immobilizzazione (tutore o gesso) ed una risonanza magnetica, la cui esecuzione comporta generalmente alcuni giorni che di fatto fanno perdere al paziente tempo prezioso anche, ma non solo, ai fini del recupero sportivo. Per quanto riguarda la ricostruzione del LCA, oggi eseguita con tecnica artroscopicamente assistita, possono essere utilizzate varie tecniche e vari tipi di trapianto: autologo (tendini prelevati dallo stesso paziente), omologo (tendini umani prelevati da cadavere), sintetico (protesi legamentose artificiali). Il trapianto autologo, largamente il più utilizzato nel mondo, ha il vantaggio di una maggiore vitalità e resistenza ma lo svantaggio di richiedere l'asportazione di una parte di uno o più tendini causando quindi un danno (anche se modesto) nella sede del prelievo con maggiore impatto chirurgico sul ginocchio (morbidità). I legamenti da cadavere, oltre al rischio, remoto ma non del tutto eliminabile, di trasmissione di malattie infettive dal donatore, sono ovviamente meno vitali e resistenti oltre a richiedere tempi più lunghi di incorporazione nel ginocchio del ricevente. I legamenti sintetici, non avendo la capacità tipica dei tessuti viventi, di rinnovarsi continuamente "riparando" eventuali microdanni che possono verificarsi a seguito del continuo uso del legamento, sono soggetti a maggiori rischi di rottura. Per questi motivi preferiamo utilizzare quando possibile (cioè praticamente sempre) i tessuti del paziente stesso. La scelta del tendine autologo da prelevare dal paziente per la ricostruzione del LCA è oggi prevalentemente ristretta al terzo centrale del tendine rotuleo (tecnica Bone-Patellar Tendon-Bone o BPTB) e ai tendini semitendinoso e gracile raddoppiati (Doubled Gracilis and Semitendinosus Tendons o DGST). Ognuna delle due metodiche possiede vantaggi e svantaggi tanto che nel mondo vengono eseguite entrambe praticamente in ugual misura con ottimi risultati. Noi da oltre 30 anni abbiamo sempre dato la preferenza alla tecnica DGST per la minore invasività del prelievo, i minori danni sul tendine rotuleo (unico tendine estensore del ginocchio) e per le minori complicanze sia nella fase post operatoria di rieducazione funzionale che a distanza con una minore incidenza di degenerazione artrosica del ginocchio. In casi di instabilità articolari particolarmente gravi o in pazienti sportivi di alto livello alla ricostruzione del LCA associamo un rinforzo capsulare sul compartimento esterno del ginocchio che, a fronte di una seconda incisione di maggiori dimensioni, garantisce una maggiore stabilità articolare post operatoria con minimo rischio di rerottura. I tempi di recupero sono legati anche all'impegno profuso ed al tempo dedicato dal paziente alla rieducazione post operatoria e possono essere stimati in circa 5 settimane per la vita di tutti i giorni ed in 4/6 mesi per il pieno reinserimento nello sport. I risultati ad oltre 6 anni di distanza, relativi alla tecnica utilizzata attualmente, da noi ottenuti e recentemente pubblicati indicano un tasso di successo superiore al 90% e confermano la validità di questa scelta. Recentemente sono state suggerite varianti di tecnica chirurgica (tecniche a doppio fascio) allo scopo di migliorare ulteriormente i già buoni risultati delle metodiche tradizionali. Queste varianti sono state da noi utilizzate e testate senza però significativi vantaggi. Anche il navigatore chirurgico viene talora da noi utilizzato per l'esecuzione degli interventi di ricostruzione del LCA col vantaggio di poter verificare e documentare in modo obiettivo la stabilità ottenuta al termine dell'operazione.

I menischi

Introduzione

I menischi, due per ginocchio, uno interno ed uno esterno, sono due organi fibrocartilaginei a forma semilunare e sezione triangolare, interposti fra femore e tibia all'interno dell'articolazione del ginocchio. Assolvono a diverse funzioni prima fra tutte quella di ammortizzatori delle sollecitazioni di carico, come dei veri e propri cuscinetti in grado di assorbire e ridistribuire le forze trasmesse dal femore alla tibia durante la stazione eretta e la deambulazione. Per questa loro funzione sono dotati di una certa libertà di movimento che consente loro di adattarsi alle varie situazioni sia normali che patologiche (traumi distorsivi). Nonostante questa loro elasticità i menischi possono andare incontro a lesione che non solo ne compromette la funzione ma che talora rappresenta per il ginocchio un elemento di rischio di malfunzionamento e quindi di comparsa o aggravamento di altre patologie. Da tenere presente che, col passare degli anni, i menischi vanno incontro a degenerazione (meniscosi), molto chiaramente evidenziabile con la risonanza magnetica che però, entro certi limiti, può essere considerata fisiologica.

La patologia dei menischi

Si distingue una patologia congenita da una acquisita, quest'ultima può avere origine traumatica o degenerativa. Le alterazioni congenite dei menischi colpiscono quasi esclusivamente il menisco esterno che assume una forma a disco pieno (menisco discoide): si manifesta generalmente durante l'adolescenza con fenomeni di scatto e blocco articolare talora particolarmente eclatantii. In altri casi il menisco discoide può decorrere asintomatico per molti anni e manifestarsi solo in età adulta o addirittura evidenziarsi come reperto accidentale nel corso di risonanze magnetiche eseguite per altri motivi. La patologia traumatica colpisce soggetti giovani spesso durante l'attività sportiva a causa di sollecitazioni distorsive: in questo caso la lesione meniscale può essere isolata o associata a lesioni legamentose, in particolare quella del legamento crociato anteriore. Le lesioni degenerative si verificano invece a causa del progressioi indebolimento del tessuto meniscale legato al processo di invecchiamento (meniscosi); sono caratteristiche dell'età adulta matura e possono verificarsi per traumi di minima entità o addirittura senza che il paziente si renda conto di aver riportato alcun trauma. Un meccanismo tipico di rottura meniscale è rappresentato dal momento di rialzarsi dalla posizione accovacciata. In alcuni casi le lesioni degenerative del menisco esterno possono dar luogo ad una cisti parameniscale il cui significato clinico tuttavia non si discosta da quello delle altre lesioni del menisco esterno.

Sintomatologia

I sintomi della lesione meniscale (sindrome meniscale) sono rappresentati dal dolore, localizzato elettivamente in corrispondenza di uno dei menischi, dal gonfiore articolare, dall'ipotrofia del quadricipite e in alcuni casi dal "blocco" meccanico dell'articolazione che si verifica a seguito dello spostamento all'interno dell'articolazione di un frammento di menisco che impedisce l'estensione del ginocchio costringendo il paziente a mantenere il ginocchio flesso. Il blocco può essere temporaneo e risolversi spontaneamente o a seguito di particolari manovre, o permanente.

Trattamento

Il trattamento delle lesioni meniscali consiste nella maggior parte dei casi nella asportazione della porzione rotta di menisco eseguita per via artroscopica (meniscectomia parziale selettiva). In alcuni particolari casi di lesione, soprattutto in quelle associate a lesione legamentosa, può trovare indicazione la sutura del menisco (meniscopessi) eseguita allo scopo di conservarne la funzione. I tempi di recupero e di ritorno allo sport delle lesioni meniscali isolate trattate in artroscopia mediante menisicectomia variano in funzione di vari parametri e sono di solito contenuti in 2/3 giorni per la ripresa delle normali attività e in 3/6 settimane per il ritorno allo sport con tempi un po' più lunghi per gli interventi sul menisco esterno. I rischi e le complicanze delle mensicectomie artroscopiche sono gli stessi degli altri interventi artroscopici (vedi artroscopia di ginocchio). Nelle meniscosi senza franche rotture il trattamento è invece conservativo in quanto un menisco integro, ancorchè degenerato, svolge ancora in parte il proprio prezioso ruolo senza rischio di danno ad altre strutture, per cui ogni sforzo indirizzato alla sua conservazione deve essere considerato pienamente giustificato.

Gli effetti a distanza delle meniscectomie

Non vi è dubbio che i menischi svolgano un ruolo importante nei movimenti del ginocchio e che l'asportazione anche di una parte di uno di essi possa provocare dei cambiamenti nella biomeccanica articolare. Più in particolare la struttura che più risente della mancanza di un cuscinetto di protezione è la cartilagine articolare che viene a sopportare carichi maggiori del normale. Tuttavia in ginocchia con normale asse di carico e in assenza di altre lesioni (legamentose in primo luogo) una meniscectomia parziale selettiva non è destinata a provocare neppure col tempo alterazioni significative dal punto di vista clinico. Diverso è il discorso in caso di lesioni meniscali associate a lesioni legamentose o in caso di rilevanti deviazioni assiali del ginocchio (ginocchio varo o valgo); in questo caso la meniscectomia può effettivamente causare col tempo alterazioni significative della cartilagine articolare fino alla vera e propria artrosi del ginocchio. Per questo motivo vengono oggi sperimentati interventi di sostituzione meniscale con tessuti sintetici o di derivazione umana (trapianti da cadaveri) la cui reale efficacia nella prevenzione del danno artrosico non è tuttavia stata ancora dimostrata ed il cui impiego è limitato a casi molto selezionati.

Artroscopia di ginocchio

L'artroscopia è quella tecnica chirurgica che consente di ispezionare direttamente un'articolazione , attraverso miniincisioni cutanee che permettono di introdurre nella cavità articolare, previamente distesa con soluzione fisiologica, uno strumento a fibre ottiche (artroscopio) collegato ad una telecamera che proietta su uno schermo le immagini delle strutture interne all'articolazione. Dopo aver identificato eventuali patologie esistenti, attraverso altre piccole incisioni, possono essere inseriti all'interno dell'articolazione strumenti chirurgici miniaturizzati che consentono di eseguire gesti chirurgici di grande precisione con minimo danno per le altre strutture articolari.

INDICAZIONI

Le patologie che più frequentemente vengono trattate in artroscopia sono le lesioni meniscali, alcune lesioni cartilaginee, i corpi liberi endoarticolari, le sinoviti. L'artroscopia viene utilizzata anche negli interventi di ricostruzione dei legamenti crociati; in questo caso però si parla di interventi artroscopicamente assistiti in quanto è sempre necessario eseguire vere e proprie incisioni cutanee per effettuare i gesti chirurgici esterni all'articolazione come il prelievo del trapianto e la sua fissazione all'osso.

ANESTESIA

L'artroscopia, che viene sempre eseguita in sala operatoria osservando le più scrupolose norme di sterilizzazione e disinfezione, può essere eseguita in anestesia locale, periferica (epidurale o spinale) o generale. Ognuna di queste possiede vantaggi e svantaggi. L'anestesia locale ha il vantaggio di una somministrazione di minime quantità di farmaco ma lo svantaggio di prolungare la durata dell'intervento con maggiore rischio teorico di infezioni, di provocare comunque un discreto disagio al paziente e di limitare l'uso della fascia ischemica utile al chirurgo per una migliore visione, non disturbata dal sanguinamento. L'anestesia periferica ha il vantaggio di minime quantità di farmaco, di lasciare vigile il paziente durante la procedura consentendogli di assistere in diretta all'operazione e di permettere l'uso della fascia ischemica. Il principale svantaggio è rappresentato dall'impossibilità di riprendere rapidamente il movimento degli arti e la deambulazione per l'inevitabile prolungamento della durata dell'anestesia rispetto a quella effettiva dell'intervento. L'anestesia generale ha lo svantaggio di una maggiore tossicità a fronte del vantaggio di poter essere modulata sulla durata effettiva dell'intervento in modo da consentire una immediata ripresa del movimento, del carico e della deambulazione non appena finito l'intervento. Il tipo di anestesia utilizzato nel nostro centro dipende da vari fattori quali la durata presumibile dell'intervento e la patologia per la quale viene eseguito, con una particolare attenzione anche alle condizioni cliniche e alle preferenze del paziente. Decorso post operatorio. Gli interventi di artroscopia, ad eccezione di casi particolari, consentono la ripresa immediata del movimento del ginocchio e del carico, normalmente senza la necessità di ricorrere all'uso delle stampelle. La ripresa di una normale deambulazione e della guida di auto e motoveicoli è autorizzata dopo 24/48 ore mentre la ripresa dello sport è possibile nell'arco di 3/6 settimane a seconda della patologia di base.

COMPLICANZE

Sebbene l'artroscopia sia giustamente considerato un intervento a basso rischio, sono possibili alcune complicanze che possono ritardare il recupero funzionale. A parte le rarissime complicanze di ordine generale, comuni a tutti gli interventi chirurgici, quelle che meritano di essere ricordate sono quelle locali, quali i versamenti articolari (idrartri-liquido sinoviale- o emartri-liquido ematico,) le infezioni e la malattia tromboembolica per la quale viene talora effettuata una profilassi farmacologica perioperatoria a base di eparine a basso peso molecolare , in grado di ridurre ulteriormente il già bassissimo rischio.

L'artrosi di ginocchio (gonartrosi)

L'artrosi è una malattia degenerativa a carattere evolutivo delle articolazioni che prende origine di solito da un danno della cartilagine articolare e si diffonde poi a tutte le altre componenti dell'articolazione (menischi, legamenti, membrana sinoviale, osso). Anche se le lesioni della cartilagine rappresentano spesso la prima fase dell'artrosi, si parla di patologia cartilaginea quando il danno è confinato esclusivamente a questa struttura, mentre si parla di condromeniscopatia se sono interessati anche i menischi e di artrosi quando, a seguito del coinvolgimento dell'osso, anche le semplici radiografie sono in grado di evidenziare gli effetti del processo degenerativo. Ne deriva che in presenza di segni radiografici di artrosi non possono esserci dubbi circa l'esteso e grave coinvolgimento di cartilagine e menischi, il cui ruolo a questo punto appare del tutto secondario nel quadro clinico complessivo assai più serio.

La Cartilagine articolare

La cartilagine articolare è un tessuto molto differenziato e specializzato, per la sua resistenza e levigatezza, ad assorbire le sollecitazioni di carico e a ridurre al minimo gli attriti che si producono fra i capi articolari del femore, della tibia e della rotula nel corso dei movimenti del ginocchio. Purtroppo le caratteristiche del tessuto cartilagineo sono talmente peculiari da renderne difficile la rigenerazione in caso di lesione o rottura, per cui, una volta prodottosi un danno, esso non viene riparato con tessuto da analoghe caratteristiche, con conseguenti ricadute sul funzionamento articolare ed il frequente progressivo deterioramento articolare. La patologia cartilaginea. La patologia cartilaginea può avere origine da un difetto di sviluppo durante l'infanzia o l'adolescenza o, più frequentemente da traumi o da microtraumi ripetuti e può essere aggravata da difetti assiali del ginocchio (ginocchio valgo o varo), oltreché dall'obesità. Esistono vari stadi di gravità delle lesioni cartilaginee, classificate in base alla profondità e all'estensione del danno fino alla completa esposizione di ampie superfici dell' osso sottostante. Il trattamento dipende ovviamente dalla gravità dei sintomi e dall'estensione e profondità della lesione e deve comunque tenere conto delle limitate possibilità di rigenerazione cartilaginea. Il trattamento conservativo è quello più frequentemente utilizzato quale primo approccio terapeutico anche nelle forme più serie. Comprende sia la fisiocinesiterapia che la terapia infiltrativa. La fisiocinesiterapia ha lo scopo di ripristinare una buona cinematica articolare e di favorire la produzione e la circolazione del liquido sinoviale (il nutriente della cartilagine). La terapia infiltrativa può essere a base di acido ialuronico (uno dei costituenti il liquido sinoviale)o a base di fattori di crescita autologhi di derivazione piastrinica da sangue prelevato dallo stesso paziente; questi ultimi hanno lo scopo di indurre la differenziazione di cellule mesenchimali pluripotenti verso la linea condrocitaria, effetto questo ancora non scientificamente dimostrato nel genere umano. Il trattamento chirurgico può mirare a favorire la riparazione del danno con un tessuto fibrocartilagineo che, seppur diverso da quello originale, ha comunque una sua funzione protettiva sull'articolazione, o di vera a propria rigenerazione cartilaginea. Le tecniche chirurgiche "riparatrici" sono più semplici, economiche, di più larga diffusione ed i risultati ben noti e facilmente riproducibili anche se non esaltanti. Le tecniche chirurgiche di rigenerazione, certamente più ambiziose e moderne, sono più complesse, costose, comportano talora più interventi chirurgici e danno risultati non sempre all'altezza delle maggiori aspettative e del maggiore impegno per medico e paziente. Tuttavia rappresentano un campo di applicazione serio e promettente delle moderne biotecnologie la cui utilizzazione è raccomandabile in casi particolari e ben selezionati.

L'artrosi del ginocchio

Con il passare del tempo, soprattutto se l'articolazione è sottoposta a carichi anomali per deformità, pregressi traumi o interventi chirurgici, sovraccarico ponderale o altro, la patologia cartilaginea tende ad aggravarsi coinvolgendo progressivamente tutte le altre strutture articolari finendo per assumere l'aspetto caratteristico dell'artrosi, il cui quadro clinico è rappresentato da dolore, deformità, tumefazione e rigidità articolare. Il dolore in particolare, inizialmente saltuario e sopportabile, diviene via via più frequente, quasi continuo con difficoltà a salire e scendere le scale, fino a ridurre in maniera significativa l'autonomia deambulatoria. L'esame radiografico mostra i caratteristici segni radiografici dell'artrosi che rendono superflua qualunque altra indagine, inclusa la risonanza magnetica, francamente inutile in questi casi. Il trattamento non chirurgico dell'artrosi del ginocchio si avvale di farmaci e fisiocinesiterapia. I farmaci, generalmente antiinfiammatori, assunti per via generale o localmente mediante cerotti medicati, possono portare un beneficio nelle forme scarsamente sintomatiche. Nei casi più avanzati si può ricorrere alla terapia infiltrativa con cortisonici, acido ialuronico o fattori di crescita di derivazione piastrinica autologa, i cui risultati sono tuttavia decisamente inferiori rispetto ai quadri iniziali di patologia cartilaginea isolata o quasi. La fisioterapia agisce indirettamente sul dolore attraverso la risoluzione della contrattura muscolare, il miglioramento del tono e del trofismo della muscolatura e la riduzione della componente infiammatoria. In caso di fallimento della terapia conservativa si può ricorrere alla terapia chirurgica che si basa essenzialmente su due tipi di intervento: le osteotomie e le protesi. Nell'artrosi del ginocchio sono infatti assolutamente inutili, se non dannosi, interventi di chirurgia artroscopica, i cosiddetti interventi di "pulizia" del ginocchio, destinati già in partenza all'insuccesso per la mancanza di una qualunque giustificazione razionale. Per osteotomia si intende un intervento che mira a modificare sostanzialmente i carichi sul ginocchio trasferendo le sollecitazioni dal compartimento malato a quello sano o comunque meno coinvolto dal processo degenerativo. L'indicazione all'osteotomia è quindi una artrosi moderata, che interessi solo una metà dell'articolazione, generalmente il compartimento interno, associata ad una deformità articolare, di solito un ginocchio varo. Dopo aver provocato una frattura della tibia proprio sotto al ginocchio l'asse della tibia stessa viene riallineato e la deformità del ginocchio corretta di conseguenza, ottenendo così una ridistribuzione più funzionale dei carichi. In tal modo la porzione di ginocchio più interessata dalla malattia e fonte del dolore, viene scaricata con notevole sollievo clinico. L'evoluzione della malattia artrosica viene così in qualche modo rallentata o modificata senza che in questo modo venga compromessa la possibilità di ricorrere in un secondo tempo o dopo alcuni anni ad interventi più radicali (protesi) in caso di recidiva della sintomatologia. Nelle osteotomie di ginocchio la deformità viene corretta in modo più preciso ed aderente al piano preoperatorio se l'intervento viene eseguito con l'aiuto del navigatore chirurgico. In ogni caso il trattamento radicale dell'artrosi, nei casi più gravi con sintomatologia invalidante, è rappresentato dall'artroprotesi.

Il legamento crociato posteriore

Il legamento crociato posteriore (LCP) è un robusto legamento posto al centro del ginocchio subito dietro al legamento crociato anteriore (LCA). Svolge la funzione di controllare gli spostamenti posteriori della tibia sul femore con scarsissimo effetto sul controllo delle rotazioni del ginocchio. Per questo motivo le conseguenze della sua rottura sulla percezione dell'instabilità da parte del paziente sono assai inferiori rispetto a quelli della rottura del LCA. Il legamento crociato posteriore si rompe in seguito a traumi diretti portati sul ginocchio dall'avanti all'indietro (scontri in uscita del portiere di calcio, traumi automobilistici "da cruscotto"). La diagnosi di rottura del LCP è clinica e si basa sulle caratteristiche del trauma e sulla presenza di un segno clinico specifico, il cosiddetto Cassetto Posteriore la cui entità tuttavia non è sempre uguale potendo essere lieve (+) moderata (++) o grave (+++) . La risonanza magnetica potrà confermare la diagnosi pur senza dare alcuna indicazione sulla gravità dell'instabilità articolare che resta patrimonio della valutazione clinica. Il trattamento delle rotture isolate del LCP, quando cioè gli altri legamenti del ginocchio non hanno subito danni, è generalmente conservativo e si basa su esercizi di potenziamento del quadricipite, in grado di eliminare qualunque sensazione di instabilità anche durante lo svolgimento delle attività sportive. Il trattamento chirurgico trova indicazione nei casi di lesioni del LCP associate ad altri danni legamentosi di rilievo e nelle gravi instabilità posteriori (+++). Le tecniche chirurgiche ed i tempi di recupero degli interventi di ricostruzione del LCP sono simili in grandi linee a quelli delle ricostruzione del LCA.

Osgood-Schlatter

I nostri bambini crescono e questo crea a volte, soprattutto quando praticano in maniera intensa attività sportive come il calcio, il basket, la pallavolo o il tennis, qualche disturbo doloroso del ginocchio. I maschi dell'età di 10-14 anni e, meno frequentemente, le femmine dai 9 ai 12 anni possono incorrere in un problema dell'accrescimento noto come apofisite tibiale anteriore o morbo di Osgood Schlatter.

Come si manifesta la Malattia di Osgood Schlatter?

Questa situazione, dal nome decisamente preoccupante ma dall'andamento costantemente benigno, consiste nell'insorgenza, in assenza di particolari traumi, di un dolore della regione anteriore del ginocchio. Inizialmente è presente sotto sforzo, diminuisce durante l'attività fisica ed aumenta nuovamente nelle ore successive all'impegno sportivo. Nelle fasi più avanzate il dolore può essere tale da far soffrire anche per il semplice sfregamento di vestiti sulla parte infiammata, rende impossibile l'atto di inginocchiarsi con la superficie anteriore del ginocchio a contatto con il pavimento e provoca una tumefazione caratteristica che altera il profilo della regione anteriore del ginocchio. Si manifesta spesso in entrambe i lati, e può accompagnare, con disturbi più o meno intensi, anche per anni l'accrescimento dei nostri piccoli.

A cosa è dovuta?

Il tendine rotuleo è un grosso tendine, situato tra la rotula e la tibia, che trasmette le enormi sollecitazioni dal quadricipite (il muscolo anteriore della coscia che è il più grande del corpo) alla gamba (attraverso la sua piccola inserzione sulla tuberosità tibiale anteriore). Mentre nell'adulto questo può provocare solamente una tendinopatia, nell'adolescente in accrescimento la immaturità del punto osseo su cui si inserisce il tendine crea un disturbo da trazione che coinvolge tendine e osso, causando una frammentazione del nucleo di accrescimento della tuberosità tibiale anteriore.

Come si cura?

Dopo aver confermato con una visita il sospetto diagnostico è generalmente utile eseguire un esame radiografico del ginocchio che mostra un aspetto caratteristico del nucleo sofferente. Mentre un tempo veniva prescritto un periodo di 3-6 mesi di riposo assoluto, oggi si cerca di ridurre gli stimoli che mantengono la patologia attraverso alcuni provvedimenti come:
• modificazione dell'attività sportiva con riduzione della frequenza e dell'intensità degli allenamenti che può arrivare, nei casi più gravi, anche alla sospensione completa
• corretto riscaldamento all'inizio dell'attività sportiva
• un adeguato programma di stretching da eseguire prima e dopo l'attività sportiva
• esercizi di potenziamento muscolare
• evitare il sovraccarico funzionale intenso come variazioni dell'intensità del programma di allenamento, balzi ed esercizi pliometrici (balzi dall'alto verso il basso con rapida contrazione muscolare), terreni di gioco pesanti
• applicazione della borsa di ghiaccio dopo le attività sportive per 15-20 minuti
• eventuale applicazioni, dietro prescrizione medica, di farmaci antinfiammatori per uso locale
• uso di appositi tutori o bendaggi applicati al di sotto della rotula per consentire una riduzione degli stress sull'inserzione ossea.

L'intervento chirurgico è riservato solamente ai rarissimi casi in cui il problema non si risolve al termine dell'accrescimento e si trova un ossiculo distaccato nel contesto del tendine rotuleo che provoca il perdurare della sintomatologia.

Tendinopatia rotulea

La tendinopatia dei tendini rotuleo e quadricipitale, nota anche col nome di "ginocchio del saltatore" per la frequenza con cui si manifesta in atleti impegnati in attività di salto (saltatori in lato e lungo, giocatori di pallavolo e pallacanestro) è caratterizzata da dolore localizzato elettivamente in uno dei tre punti che costituiscono il fulcro del movimento di flesso estensione del ginocchio: polo superiore ed inferiore della rotula, tuberosità tibiale anteriore. Si tratta di una tendinopatia inserzionale, affezione che colpisce elettivamente la giunzione osteo-tendinea, in grado di provocare dolore di intensità variabile, talora anche molto intenso, ad ogni sollecitazione in estensione del ginocchio (salti) o dopo permanenza in posizione seduta a ginocchio flesso. Trattandosi di una patologia tendinea extraarticolare l'articolazione del ginocchio vera e propria è assolutamente indenne e priva di segni patologici.

Diagnosi

La diagnosi di tendinopatia rotulea è essenzialmente clinica e si basa sulla descrizione dei sintomi così come fatta dal paziente e sulla ricerca dei punti dolorosi tipici della malattia. Le indagini strumentali (radiografie, ecografia, risonanza magnetica) confermano generalmente la presenza di alterazioni strutturali del tendine (ispessimento, perdita della normale struttura fibrillare, calcificazioni) ma molto raramente condizionano la strategia terapeutica che si basa essenzialmente sulla gravità dei sintomi che variano da una semplice dolenzia che si manifesta solo al termine di sforzi particolarmente intensi fino ad un dolore continuo, presente anche a riposo, che impedisce la pratica dello sport.

Trattameto

La tendinopatia rotulea è una delle affezioni più resistenti alle varie forme di trattamento e quindi più difficile da curare in maniera definitiva. La fisiocinesiterapia rappresenta la forma più utilizzata soprattutto nelle fasi iniziali. Il potenziamento isometrico del quadricipite, lo stretching dei flessori e la ginnastica eccentrica dello stesso quadricipite rappresentano il cardine di questa terapia, spesso in grado di controllare sufficientemente i sintomi soprattutto nell'arco della stagione agonistica. In associazione alla ginnastica, eseguita secondo rigidi protocolli, possono essere di qualche utilità le varie forme di terapia fisica vera e propria. Forme più moderne ed aggressive di fisioterapia come le onde d'urto focalizzate possono risultare efficaci anche nel promuovere la rigenerazione cellulare e stimolare il vero e proprio processo riparativo, anche se ancora mancano dei protocolli chiari e condivisi sui dosaggi e sui tempi di riposo da osservare in corso di trattamento. Le infiltrazioni con fattori di crescita di derivazione piastrinica da sangue prelevato dallo stesso paziente rappresentano un'altra opzione terapeutica promettente e largamente usata anche se, come per le onde d'urto, non esiste ancora una prova certa di efficacia e soprattutto un protocollo univoco di trattamento sia nel numero delle infiltrazioni sia nella metodica di preparazione del concentrato piastrinico. Le infiltrazioni di cortisone, per lungo tempo bandite per il rischio di rottura tendinea (ampiamente sopravvalutato e legato a situazioni di abuso e cattivo uso del farmaco) sono state più recentemente rivalutate e possono trovare indicazione (dopo attentissima valutazione medico specialistica) in casi selezionati e soprattutto in pazienti alla vigilia di eventi sportivi "irrinunciabili". Il trattamento chirurgico (sia a cielo aperto che artroscopico) trova indicazione in meno del 10% dei casi e solo dopo il fallimento delle terapie conservative. I risultati sono buoni in circa il 75% dei casi ma il ritorno allo sport richiede spesso dai 4 ai 6 mesi.